Riflessione: come si fa a coltivare l’amore per se stessi e l’autostima e nello stesso tempo seguire un percorso spirituale non duale, che afferma che la personalità deve essere superata e trascesa?
In realtà sembra una dicotomia, ma la questione è molto semplice, l’amore per te stessa è uno stato dell’essere, quando fai cose o azioni che ledono la tua persona sei nell’ego, nella personalità, e dunque devi portare a consapevolezza i comportamenti nocivi per fermarli.
Per quanto riguarda la sicurezza e la fiducia in sé, come acquisirle se devo abbandonare la maschera, l’identità?
Il punto è che la fiducia in te, non coincide con la fiducia nella personalità, nelle memorie e nella maschera che indossi quotidianamente, aumentare la fiducia in quello, significa peggiorare lo stato di consapevolezza.
La fiducia che devi coltivare è quella nell’essere, nel fatto che non è la personalità a creare e a far manifestare le cose, ma è l’essere, l’anima che attraverso di te agisce. L’universo stesso che attraverso il vascello del corpo-mente si manifesta.
La personalità deve diventare uno strumento, non un trofeo da sfoggiare: io ho una personalità meravigliosa, sono simpatica, sono altruista, sono colta, sono stronza, sono bad girl. Non è così che si ascende. Più ti senti speciale e diverso e più sei lontano da un percorso spirituale.
Se diventi tracotante e pieno di te, non stai facendo un percorso spirituale. Attenzione, non dico che sia sbagliato lavorare su questo, dico solo che quella non è la via spirituale. La via spirituale fa emergere la saggezza naturale dell’essere, che verrà colorata con il tuo codice unico, della tua unicità dell’anima, ma non sarà appesantito dalla maschera personalità, che vuole apparire come diverso, speciale, unico.
La verità è un paradosso: perché nello stesso tempo sei unica, ma sei anche fatta dell’Uno, il percorso richiede di scollarti da questa idea che hai di te, per poi usarla nella vita quotidiana, senza identificarsi in essa. Troppo difficile?
Mi spiego meglio: prendi la tua personalità come se fosse un ruolo di teatro, perché in effetti è questo, e come se tu in realtà fossi l’attore che deve interpretare il ruolo. La personalità diventa quindi un mezzo con il quale l’attore si esprime, il percorso spirituale è quella strada che ti porta dalla messa in scena al ritorno in te, nell’attore, ovvero nell’energia vitale che dà vita a quel personaggio. E una volta ritornato in te, riprendere, a sprazzi, quando serve, la maschera in mano per usarla e stare insieme agli altri attori, con un gancio permanente, però, a ciò che sei veramente, ovvero l’attore.
Descritta così, potrai capire bene che incistare all’infinito un ruolo illusorio non potrà che sembrarti un lavoro macchinoso e falso. Ed è per questo che lavorare sulla stima della personalità è sempre un percorso fallace, perché stai lavorando su un livello illusorio, creato apposta per te dal cervello e bastato su traumi, ferite, ricordi, automatismi, programmi mentali, che non riuscirai mai ad eliminare o a risolvere del tutto, perché la mente è limitata.
Se lavori invece sull’emersione dell’essere, la tua maschera verrà illuminata e guidata ad agire secondo un principio di saggezza diverso, che non proviene della mente, ma dalla fonte stessa dell’infinito.
Finché vivi imprigionato di mi piace/non mi piace, odio/amo, etc queste dicotomie, che ti danno un senso illusorio di te, ti imprigionano in una realtà che non esiste, perché è filtrata dallo sguardo basato sulle memorie.
La realtà è neutra, è l’essere umano che la complica con le sue preferenze mentali.
Naturalmente, abbiamo anche desideri dell’anima e missioni, che si riconoscono tramite l’entusiasmo e la saggezza. Quando non c’è più la tensione di amo/odio, ma semplicemente la profonda consapevolezza di non appartenere più a un luogo e di avere, invece, la necessità di andare altrove, e di fare cose nuove, attraverso l’uso del corpo e della mente.
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Maria